«Dottore, è inutile. Lasci stare!... Neanche pensarci. Figuriamoci, questo mi manca: che il padre venga a sapere che sono andata a pescare un branco di...»
L'unghia dell'indice di Chris, con un piccolo rumore secco, passava da rilegatura a rilegatura. Niente. Niente Bibbia, niente Nuovo Testamento, niente di...
Un momento!
Lo sguardo di Chris tornò veloce al titolo di un volume sull'ultimo ripiano. Il libro sulla stregoneria che le aveva mandato Mary Jo Perrin. Chris lo tolse dallo scaffale e fece scorrere le pagine per trovare l'indice dei capitoli. Con l'unghia del pollice passò da titolo a titolo...
Ecco!
Un titolo pulsava come il battito del cuore: Stati di possessione. Nel chiudere il libro, Chris chiuse anche gli occhi, pensando, chiedendosi:
Chissà... Forse...
Riaprì gli occhi e tornò a passi lenti in cucina. Sharon stava battendo a macchina. Le mostrò il libro. «L'hai letto, Shar?»
La biondina continuò a mitragliare i tasti, senza alzare gli occhi. «Letto cosa?»
«Questo libro sulla stregoneria.»
«No.»
«Sei stata tu a metterlo nello studio?»
«No. Non l'ho nemmeno toccato, io.»
«Dov'è Willie?»
«Al supermercato.»
Chris dondolò la testa, riflettendo intensamente. Tornò di sopra, nella stanza di Regan. Mostrò il libro a Karl. «L'hai messo tu nello studio, Karl? Nello scaffale?»
«No, madame.»
«Sarà stata Willie, allora» mormorò Chris, gli occhi fissi sul volume.
Sottili palpiti di congetture la fecero fremere. Avevano ragione i medici della clinica Barringer? Era questo il colpevole? Regan aveva forse raccattato il suo male autosuggestionandosi attraverso la lettura del libro? In quelle pagine, erano menzionati i sintomi manifestati da sua figlia? Qualche particolare specifico di ciò che essa faceva durante le crisi?
Scese in cucina, sedette accanto al tavolo, aprì il capitolo che trattava della possessione e cominciò a cercare, a cercare, a leggere:
Direttamente derivante dalla diffusa credenza nei demoni era il fenomeno noto come ossessione, uno stato caratterizzato dal fatto che il soggetto si credeva dominato, fisicamente e mentalmente, o da un demone penetrato dentro di lui, o dallo spirito di una persona morta. (Nel periodo in esame si credeva soprattutto nei demoni.) Non esiste periodo storico o angolo della terra immuni dal fenomeno, il quale viene sempre menzionato in termini pressappoco uguali. Eppure, a tuttoggi, non è ancora stata trovata una spiegazione soddisfacente. Da quando Traugott Oesterreich, per la prima volta, nel 1921, pubblicò la sua opera fondamentale sull'argomento, ben poco è stato aggiunto alle cognizioni in nostro possesso, e ciò malgrado i progressi della psichiatria.
Mancava una spiegazione sufficiente? Chris aggrottò la fronte. Da quanto le avevano detto i medici, aveva avuto un'altra impressione.
...Ciò che sappiamo con certezza di un fenomeno che è andato ripetendosi nel corso di varie epoche è quanto segue: il soggetto è vittima di un'allucinante trasformazione, tanto radicale da provocare in coloro che lo circondano l'impressione di trovarsi in presenza di un'altra persona. Non soltanto la voce, il modo di fare, l'espressione del volto e i gesti caratteristici mutano, ma lo stesso soggetto si ritiene un essere totalmente distinto dalla persona originale, con un nome — umano o demoniaco — differente, con un passato appartenente esclusivamente alla seconda personalità e non già a quella originale...
I sintomi... Dov'erano i sintomi? si chiedeva Chris con impazienza.
... Nell'Arcipelago Malese, dove l'ossessione è ancora oggi un evento comune, di tutti i giorni, quando lo spirito di un morto prende possesso di una persona, costringe questa a imitare la voce, i gesti, le maniere del defunto, in modo tanto impressionante che i parenti del morto non possono fare a meno di scoppiare a piangere. Esclusi i casi di così detta "quasi ossessione" — casi che alla resa dei conti possono essere catalogati come frode, o come paranoia, o come isterismo — il problema è sempre consistito nella interpretazione dei fenomeni. L'interpretazione più antica è quella spiritistica, che appare confortata dal fatto che la personalità secondaria può avere qualità del tutto estranee alla prima. Nella forma di possessione demoniaca, per esempio, può accadere che il demone parli lingue straniere totalmente sconosciute alla prima personalità, oppure...
Ecco! Un barlume! Le inintelligibili filastrocche di Regan! Un tentativo di parlare una lingua misteriosa?... Chris si affrettò a leggere il seguito.
... oppure si manifesti attraverso vari fenomeni parapsichici, come ad esempio la telecinesi, che fa muovere gli oggetti senza l'uso di forza materiale.
I rumori? Il letto che sussultava?
... Quando l'ossesso è posseduto dallo spirito di un morto, si verificano manifestazioni simili a quella riferita da Oesterreich: un monaco ossesso, durante una crisi, si trasformò improvvisamente in un brillante e geniale ballerino, sebbene prima del manifestarsi dei sintomi non avesse mai nemmeno tentato un passo di danza. Spesso queste manifestazioni sono tanto impressionanti che il grande psichiatra Jung, dopo aver studiato personalmente un caso, non riuscì a spiegarlo se non in parte, malgrado egli stesso fosse convinto che "non poteva assolutamente essersi trattato di una frode".
Inquietante. Questo destava un senso di inquietudine.
... William James, il maggiore psicologo che l'America abbia mai avuto, confermò la validità dell'affermazione "che l'interpretazione spiritistica del fenomeno è la più plausibile. E questo dopo aver studiato a lungo e da vicino il così detto "fenomeno di Watseka": una bambina, cioè, di dieci anni, abitante appunto a Watseka, nell'Illinois. Questa bambina aveva subito una trasformazione della personalità che l'aveva resa del tutto uguale a un'altra bambina, una certa Mary Roff, morta — in un manicomio — dieci anni prima che il fenomeno di possessione avesse luogo...
Ciglia aggrottate. Chris non udì squillare il campanello della porta, non udì Sharon smettere di battere a macchina per andare ad aprire.
La forma di possessione demoniaca viene generalmente considerata come avente le sue origini nel primo cristianesimo, ma — in realtà — sia l'ossessione, sia l'esorcismo sono anteriori alla nascita di Cristo. Tanto gli antichi egizi quanto i popoli delle prime civiltà delle valli del Tigre e dell'Eufrate credevano che i disturbi fisici e mentali fossero causati dal fatto che il corpo veniva invaso da demoni. Ecco, per esempio, la formula usata nell'antico Egitto per l'esorcismo contro le malattie infantili: "Vai via di qui, tu che vieni dall'oscurità, tu che hai il naso voltato all'indietro, che hai il viso al contrario. Sei venuto per baciare questa creatura? Non te lo permetterò...".
«Chris...»
Continuò a leggere, concentrata. «Sono occupata, Shar.»
«C'è un ufficiale della Squadra Omicidi che vuole parlarti.»
«Accidenti, Sharon! Mandalo al...»
S'interruppe.
«No, no, aspetta» si accigliò, gli occhi ancora fissi sul libro.
«Fallo entrare, fallo entrare.»
Rumore di passi.
Rumore di attesa.
Cosa sto aspettando?
Chris non lo sapeva. Rimase là seduta, con un senso di attesa noto eppure indefinito, come quei sogni tanto vividi che non si riesce mai a ricordare.
Entrò accompagnato da Sharon, il cappello stretto in mano, ansante, ondeggiante, rispettoso. «Mi scusi. Lei è occupata e io vengo a disturbarla...»
«Come sta il mondo?»
«Male, molto male. Come sta la sua bambina?»
«Sempre lo stesso.»
«Oh, mi dispiace, mi dispiace tanto!» Col suo passo sgraziato, si avvicinò al tavolo, trasudando sollecitudine dalle palpebre pesanti. «Se avessi saputo, non sarei venuto a importunare... Sua figlia, quella sì che è una preoccupazione... Dio solo lo sa, quando la mia Ruthie era a letto con... No, no, non era Ruthie... Era Sheila, la più piccola...»
«Si accomodi, prego» tagliò corto Chris.
«Sì, sì, grazie!» Con un sospiro di gratitudine depositò il suo voluminoso posteriore su una seggiola, dirimpetto a Sharon, che aveva ricominciato a battere a macchina la corrispondenza.
«Scusi, diceva?» domandò Chris.
«Parlavo di mia figlia che... Ma lasciamo perdere.» Scartò l'argomento. «Lei è occupata. Se incomincio, finisco col raccontarle la storia della mia vita. Potrebbe farci uscire un film, sa? Davvero! È incredibile! Se lei conoscesse soltanto la metà delle cose che succedevano in quella famiglia di matti che era la mia, come per esempio... No, non è il caso, le faccio perdere tempo... Questa però gliela voglio raccontare, questa e poi basta! Ogni domenica, mia madre ci cucinava un pesce ripieno, e va bene... Soltanto che durante tutta la settimana nessuno di noi poteva fare il bagno, perché nella vasca mia madre ci teneva la carpa. Diceva che così il pesce si spurgava, buttava fuori tutto il veleno. E la carpa avanti e indietro nell'acqua, avanti e indietro per tutta la settimana. E ora viene il bello, perché... Ma no, basta, ora basta» accompagnò il gesto di rinuncia con un profondo sospiro. «Sa, una risata di tanto in tanto serve per tenere lontane le lacrime.»
Chris lo guardava con occhi privi di espressione, in attesa...
«Stava leggendo?» le domandò, sbirciando il libro sulla stregoneria. «Per un film?»
«No, tanto per leggere.»
«Bello?»
«L'ho appena incominciato.»
«Stregoneria» mormorò lui, piegando la testa di lato per decifrare il titolo stampato sul margine superiore della pagina.
«Allora, tenente, desidera?»
«Ah, già... Mi scusi. Lei è occupata e io... Ma faccio presto. Come dicevo, non sarei venuto a disturbarla, salvo che...»
«Salvo cosa?»
Fattosi improvvisamente serio, egli posò le mani giunte sul tavolo. «È per via del signor Dennings, signora MacNeil...»
«Sì...»
«All'inferno!» sbottò Sharon, strappando con rabbia il foglio dal rullo della macchina. Ne fece una pallottola che lanciò verso il cestino della cartastraccia, vicino alla seggiola di Kinderman. «Oh, scusate!» soggiunse subito, notando che il suo scatto aveva interrotto la conversazione.
Chris e Kinderman la fissarono, sorpresi.
«Lei è la signorina Fenster?» domandò il poliziotto.
«Spencer» corresse Sharon, spingendo indietro la seggiola per alzarsi e andare a recuperare la lettera.
«Lasci, faccio io» Kinderman si chinò per raccogliere il foglio accartocciato, rotolato accanto ai suoi piedi.
«Grazie.»
«Di niente. Scusi... lei è la segretaria della signora MacNeil?»
«Sharon, ti presento il tenente...» Chris esitò, incerta.
«Kinderman» le rammentò il poliziotto. «William Kinderman.»
«Ah, già. Questa è Sharon Spencer.»
«Piacere» disse Kinderman. La biondina poggiò le braccia conserte sulla macchina, guardandolo con espressione incuriosita. «Forse lei, signorina, potrà darmi una mano» soggiunse il poliziotto. «La sera in cui morì il signor Dennings, lei uscì per andare in farmacia e lo lasciò qui solo in casa, vero?»
«Non proprio. C'era anche Regan.»
«Regan è mia figlia» chiarì Chris.
Il tenente continuò a interrogare Sharon. «Il signor Dennings era venuto a trovare la signora MacNeil?»
«Sì, esatto.»
«E sapeva che la signora sarebbe tornata presto?»
«Fui io a dirgli che sarebbe tornata da un momento all'altro.»
«Molto bene. Lei a che ora uscì? Se ne ricorda?»
«Vediamo un po'... Stavo guardando il telegiornale del pomeriggio, perciò... Oh, no, aspetti! Telefonai al farmacista e ricordo di essermi arrabbiata perché sosteneva che il fattorino delle consegne era già andato a casa. Gli domandai come mai, visto che erano soltanto le sei e mezzo... Qualcosa del genere, insomma. Burke suonò alla porta dieci minuti dopo... No, forse di più, forse venti...»
«Facendo una media, diciamo dunque che arrivò qui alle sei e quarantacinque» concluse il poliziotto.
«E con ciò? Cosa significa?» domandò Chris, sentendo aumentare dentro di sé una vaga, nebulosa tensione.
«Significa che, in questo caso, si pone un interrogativo, signora MacNeil» rispose ansimando Kinderman, voltando la testa per guardarla bene in faccia. «Entrare qui alle sette meno un quarto, diciamo, e andarsene soltanto quindici minuti dopo...»
«Oh, ma Burke era fatto così» disse Chris. «Era nel suo carattere.»
«Ed era anche nel suo carattere frequentare i bar malfamati della M Street?»
«No.»
«No, giusto. Ho fatto qualche domandina in giro, capisce? E, poi, non era nelle sue abitudini spostarsi sempre in tassi? Normalmente non avrebbe chiamato un tassi, prima di uscire in strada?»
«Sì, certo.»
«Ecco perché uno si chiede come mai egli si trovò a camminare sul marciapiede dal quale parte la scala che porta alla M Street. E, per di più, uno si chiede come mai dai registri delle compagnie di tassi risulta che quella sera soltanto una chiamata partì da questa casa: quella fatta dalla signorina Spencer, che prese il suo tassi esattamente alle sei e quarantasette.»
«Non capisco» mormorò Chris, con voce assolutamente incolore e sempre in attesa di qualcosa...
«Ma, allora, lei sapeva già tutto!» esclamò senza fiato Sharon, attonita.
«Sì, mi scusi» ammise il poliziotto. «Ma ora che la faccenda si è fatta molto seria...»
Chris aveva il respiro breve, stentato, ma fissava il tenente senza battere ciglio. «In che senso?» domandò. Dalla gola le uscì appena un filo di voce.
Sempre stringendo tra le mani poggiate sul tavolo il foglio di carta appallottolato, Kinderman si sporse in avanti. «Dal rapporto del medico legale risulta che non è affatto da escludersi in via definitiva che il signor Dennings sia morto in seguito a un incidente, signora MacNeil, ma tuttavia...»
«Tenente, vuol forse dire che Burke è stato assassinato?» domandò Chris sempre più tesa.
«La posizione... Sì, lo so, certi particolari fanno male, ma...»
«Avanti, dica.»
«La posizione della testa di Dennings e i muscoli del collo lacerati, strappati, starebbero a dire...»
Chris trasalì. «Oh, mio Dio!» mormorò.
«Sì, fa male. Mi dispiace. Mi dispiace immensamente. Lasciamo pure da parte i dettagli, ma, vede, una normale caduta non avrebbe mai provocato queste conseguenze... a meno che il signor Dennings non fosse precipitato dall'alto. Da sette o otto metri d'altezza, diciamo, battendo la testa sui gradini per poi ruzzolare fino in fondo alla scala. Per dirla tutta, si evidenzia la probabilità che... Ma ne riparleremo... Vorrei prima fare qualche domanda.»
Tornò a voltarsi verso Sharon, che lo ascoltava accigliata. «Quando lei uscì, dov'era il signor Dennings? Di sopra, con la bambina?»
«No, qui dabbasso, nello studio. Si stava preparando un drink.»
«Crede che sua figlia si ricordi» di nuovo a Chris, questa volta «se il signor Dennings andò da lei, nella sua stanza, quella sera?»
Era rimasta sola con lui?
«Perché me lo domanda?»
«Crede che sua figlia se ne ricordi?»
«No. Gliel'ho già detto l'altra volta, tenente: Regan era sotto l'azione di un potente sedativo e...»
«Sì, sì, è vero, me lo disse. Ora mi viene in mente. Ma potrebbe essersi svegliata un momento, non le pare?... E allora...»
«Impossibile. E poi...»
«Anche quando venni qui la prima volta» la interruppe Kinderman «era sotto l'azione di un sedativo?»
«Quando? Ah, sì, anche allora... Sì...» ricordò Chris. «Perché?»
«Quel giorno mi sembrò di vederla dietro i vetri della sua finestra.»
«Lei si sbaglia.»
Egli alzò le spalle. «Può darsi, può darsi. Non ne sono sicuro.»
«Scusi, perché tutte queste domande?»
«Come le dicevo, signora, esiste la possibilità che il signor Dennings si sia affacciato e, dato lo stato di ubriachezza in cui si trovava, abbia perduto l'equilibrio e sia caduto dalla finestra della camera di sua figlia.»
Chris scosse la testa. «Non va. Non è possibile. Prima di tutto, in quei giorni, la finestra era sempre chiusa, e in secondo luogo Burke era sempre sbronzo ma non perdeva mai l'equilibrio, mai una volta. Non è vero, Shar?»
«Esatto.»
«Burke dirigeva sul set anche quando era completamente partito. È assurdo pensare che sia caduto da una finestra.»
«Per caso, lei non aspettava qualche altra visita, quella sera?» domandò il poliziotto.
«No.»
«Non ha amici che capitano a casa sua anche senza avvertirla, prima?»
«Soltanto Burke lo faceva. Perché?»
Kinderman chinò la testa e la scosse leggermente, guardando — cupo in volto — il foglio accartocciato che teneva in mano. «Tutto così strano... così sconcertante...» In un soffio ripeté stancamente: «Sconcertante». Poi sollevò lo sguardo per guardare Chris. «Dennings viene a trovarla, non la trova in casa, si ferma una ventina di minuti, poi, senza neanche aspettare che lei torni, se ne va lasciando sola una bambina molto malata. Inoltre, per dirla tutta, proprio come ha fatto notare lei, signora MacNeil, una caduta accidentale dalla finestra è ben poco verosimile. A questo si aggiunga che una caduta non poteva conciargli il collo nella maniera in cui noi l'abbiamo trovato... Una possibilità su mille, tutt'al più...» Con un cenno della testa indicò il libro sulla stregoneria. «In quel libro, ha trovato qualcosa sugli assassinii rituali?»
Gelata da un presentimento, Chris fece cenno di no.
«Forse in quel libro non c'è niente» disse Kinderman. «Comunque, e scusi se gliene parlo, ma lo faccio perché così, dopo, forse ci rifletterà sopra anche lei: signora MacNeil, il povero signor Dennings è stato trovato morto con il collo spezzato, torto a spirale secondo lo stile degli assassinii rituali commessi dai così detti demoni.»
Chris diventò bianca.
«Dennings è stato ucciso da un pazzo» proseguì il poliziotto, gli occhi fissi sull'attrice. «Non glielo avevo detto prima per risparmiarle un dolore. E poi, teoricamente, non si poteva escludere la possibilità che si trattasse proprio di un incidente. Ma io non lo credo. Una mia impressione, una mia opinione: primo, secondo me è stato ucciso da un uomo eccezionalmente robusto; secondo, la frattura del cranio. Se si aggiungono le altre cose che ho menzionato prima, si ha un quadro che rende molto verosimile, verosimile e non certa, signora, l'ipotesi che il povero signor Dennings sia stato ucciso e poi buttato giù dalla finestra della camera di sua figlia. Ora, come può essere accaduto questo? Soltanto se qua è venuto qualcuno nell'intervallo di tempo che va da quando la sua segretaria è uscita a quando lei, signora MacNeil, è tornata a casa. Non è così? Forse. Perciò le domando di nuovo: per piacere, chi può essere venuto?»
«Gesù santo, mi lasci riprender fiato!» sussurrò raucamente Chris, ancora sotto shock.
«Sì, capisco. È doloroso... E magari io sto sbagliando tutto... Lo ammetto, è possibile. Ma provi a pensarci. Chi? Mi dica, chi può essere venuto?»
Chris stava a testa bassa, riflettendo, il volto accigliato. Dopo un po' alzò gli occhi e guardò Kinderman. «No. No. Assolutamente non mi viene in mente nessuno...»
«Forse lei, signorina Spencer? C'è qualcuno che viene a trovarla qui?»
«Oh, no, nessuno» rispose Sharon, gli occhi sgranati.
Chris si voltò verso di lei. «Il cavaliere lo sa dove lavori?»
«Il cavaliere?» domandò Kinderman.
«Il suo innamorato» spiegò Chris.
La biondina scosse la testa. «Qui non è mai venuto. Inoltre era a Boston, quella sera, per non so quale raduno.»
«È un commerciante?»
«No, è avvocato.»
Il poliziotto si rivolse nuovamente a Chris. «I domestici?... Ricevono visite?»
«Mai. Assolutamente mai.»
«Quel giorno lei aspettava qualche pacco, qualche consegna?»
«Che io sappia, no. Perché?»
«Il signor Dennings era... Non per parlare male di un morto, riposi in pace, ma come lei stessa ha detto, signora MacNeil... il signor Dennings quando alzava il gomito diventava, come dire?, irascibile, ecco. Senza dubbio non ci metteva molto a provocare una lite, a suscitare la collera degli altri. Nel caso, la collera di un fattorino, per esempio, venuto per consegnare un pacco. Perciò le domando: aspettava la consegna di qualcosa? Roba mandata in tintoria, forse? Provviste per la casa? Liquori? Un pacchetto?»
«Tenente, io non saprei proprio» rispose Chris. «È Karl che si occupa di queste cose.»
«Capisco.»
«Vuole chiedere a lui?»
Il poliziotto sospirò e si appoggiò con la schiena alla spalliera della seggiola, infilando le mani nelle tasche del cappotto. Cupo in volto, fissava il libro sulla stregoneria. «Non fa niente, non fa niente. È una possibilità molto remota. Sua figlia è molto malata e lei... Lasciamo stare, per ora.» Fece un gesto come di ripulsa e si alzò in piedi. «Molto piacere di averla conosciuta, signorina Spencer.»
«Piacere mio.» Lontana col pensiero, Sharon fece un cenno con la testa.
«Sconcertante» ripeté Kinderman scuotendo il capo. «Strano.» Pareva rimuginare un recondito pensiero. Volse lo sguardo verso Chris, che a sua volta stava alzandosi. «Signora MacNeil, mi scusi... Sono venuto a importunarla per niente. Mi dispiace.»
«Venga, l'accompagno fino alla porta» gli disse Chris, con gentilezza.
«Non si disturbi.»
«Nessun disturbo.»
«Se insiste...» Mentre uscivano dalla cucina, soggiunse: «Oh, senta, signora MacNeil, so bene che tutt'al più c'è una possibilità su un milione, ma... Sua figlia,.. Non potrebbe domandarle se per caso il signor Dennings andò da lei, nella camera da letto, quella sera...?»
Chris camminava accanto a lui con le braccia conserte". «Guardi, tenente, non vedo per quale ragione Burke sarebbe dovuto salire di sopra.»
«Lo so, me ne rendo conto. È vero. Ma se certi dottori inglesi non si fossero chiesti... "Cosa mai sarà questo fungo?", oggi non avremmo la penicillina. Giusto? Per favore, glielo domandi. Lo farà?»
«Sì, quando Regan starà meglio, glielo domanderò, stia tranquillo.»
«Male non farà. E adesso...» Erano arrivati alla porta e Kinderman esitò, titubante. Portò la mano alla bocca, in un gesto imbarazzato.
«Mi rincresce chiederglielo, però...»
Chris s'irrigidì, in attesa di un nuovo shock. Ancora una volta un presentimento le fece tumultuare il sangue nelle vene. «Sì... dica.»
«Per mia figlia... Le dispiacerebbe darmi un autografo?» Era arrossito. Dal sollievo, per poco Chris non scoppiò a, ridere. Di sé. Della disperazione. Della umana condizione.
«Ma certo! Ha una matita?»
«Subito!» rispose lui immediatamente, tirando fuori dalla tasca del cappotto un mozzicone di lapis tutto mordicchiato, mentre con l'altra mano estraeva un biglietto da visita dalla tasca interna della giacca. «Ne sarà felice» disse, porgendo le due cose all'attrice.
«'Come si chiama sua figlia?» domandò Chris, mentre appoggiava il biglietto contro la porta e metteva in posizione il rimasuglio di matita. Seguì un vuoto pesante di esitazione. Chris udiva soltanto il respiro ansante del poliziotto. Si voltò a guardarlo e gli lesse negli occhi il riflesso di una tremenda, angosciosa lotta interna.
«Ho mentito» disse alla fine Kinderman, con un'occhiata disperata, quasi di sfida. «È per me!...»
Facendosi di fuoco, egli abbassò lo sguardo sul biglietto. «Scriva "a William... William Kinderman..." C'è scritto dall'altra parte del biglietto.»
Chris lo guardò con un indefinibile inatteso senso di tenerezza, controllò l'ortografia del nome e poi scrisse: "William Kinderman, le voglio bene!". E appose la firma. Gli porse il biglietto ed egli se lo pose in tasca senza leggerlo.
«Lei è una cara signora» disse il poliziotto, impacciato,, senza osare guardarla in volto.
«E lei una cara persona.»
Egli arrossì ancor più. «No, non è vero. Sono una calamità.» Stava aprendo la porta. «Non pensi più a quello che le ho detto prima, di là. Se ne dimentichi. Pensi soltanto a sua figlia. Sua figlia.»
Chris annuì. E sentì di nuovo affiorare lo sconforto, mentre Kinderman usciva e si calcava in testa il cappello.
«Si ricorderà di farle quella domanda?» le chiese, nel voltarsi.
«Certo» sussurrò Chris. «Prometto. Lo farò senz'altro.»
«Arrivederci, allora. E si riguardi.»
Ancora una volta, Chris annuì. Poi rispose: «Anche lei».
Chiuse la porta pian piano, ma riaprì immediatamente, udendo bussare.
«Mi scusi, sono proprio uno scocciatore» disse il poliziotto, con una smorfia di scusa. «Ho dimenticato il lapis.»
Chris guardò il mozzicone di matita che aveva ancora in mano, abbozzò un sorriso, e restituì il lapis.
«Un'altra cosa...» esitò. «È inutile, lo so... Una seccatura inutile... non ha senso... ma io non potrò dormire al pensiero che forse c'è in giro un matto, o un drogato, e io non ho controllato anche il dettaglio più insignificante... Crede che potrei... Ma no, è stupido, è... Eppure devo proprio. Crede che potrei parlare un momento col signor Engstrom? Sa, per chiarire quella faccenda... L'eventualità di una consegna a domicilio. Sì, sarà meglio...»
«Prego, entri» disse Chris, stremata.
«No, lei è occupata. Ho disturbato abbastanza. Posso parlargli qui fuori. Sì, qui fuori va benissimo.»
Si era appoggiato alla balaustra del terrazzino.
«Se preferisce...» Chris sorrise debolmente. «È su da Regan. Glielo mando subito dabbasso.»
«Grazie mille.»
Chris chiuse la porta alla svelta. Karl la riaprì un minuto dopo. Uscì sul terrazzino e tenne la mano sulla maniglia, per impedire che la porta si chiudesse del tutto. Alto ed eretto, guardò Kinderman con occhi chiari e freddi. «Desidera?» domandò, impassibile.
«È suo diritto rifiutarsi di rispondere alle mie domande» lo aggredì Kinderman, agganciando con gli occhi gelidi lo sguardo di Karl. «Se rinuncia a questo diritto» intonò, proferendo rapidamente la formula di rito con voce piatta, monotona, «l'avverto che qualsiasi cosa dirà, in caso di giudizio, potrà essere usata contro di lei. Lei ha il diritto di parlare con un avvocato e di esigere la presenza di questo avvocato durante l'interrogatorio. Se questo è il suo desiderio e se lei non dispone di mezzi finanziari, prima dell'interrogatorio verrà nominato un suo difensore d'ufficio, i cui onorari non andranno a suo carico... Ha capito bene i diritti che le ho elencato?»
Gli uccelli cinguettavano in sordina tra i rami del decano degli alberi, i rumori del traffico nella M Street arrivavano ovattati come il ronzio di api in un lontano alveare. Senza batter ciglio, Karl rispose: «Sì».
«Rinuncia al diritto di rifiutarsi di rispondere alle mie domande?»
«Sì.»
«Rinuncia al diritto di parlare con un avvocato e a quello della presenza di un suo difensore durante l'interrogatorio?»
«Sì.»
«In precedenza, lei ha dichiarato che la sera in cui morì il signor Dennings, il ventotto aprile del corrente anno, lei si trovava al cinema Crest. È esatto?»
«Sì.»
«A che ora entrò nel cinema?»
«Non ricordo.»
«In precedenza, lei ha dichiarato di aver assistito allo spettacolo che inizia alle sei. Se ne ricorda, ora?»
«Sì. Lo spettacolo delle sei. Ricordo.»
«E vide la pellicola... il film dal principio?»
«Sì.»
«Uscì alla fine del film?»
«Sì.»
«Non prima?»
«No. Alla fine del film.»
«E, appena uscito, lei prese l'autobus, davanti al cinema, per scendere poi all'incrocio tra la M Street e la Wisconsin Avenue, alle ore nove e venti circa?»
«Sì.»
«E fece a piedi il tratto fino a casa?»
«A piedi, sì.»
«E arrivò a casa verso le nove e mezzo di sera?»
«Esattamente alle nove e trenta.»
«Ne è sicuro?»
«Sì. Ho guardato il mio orologio. Sono sicuro.»
«E ha visto il film proprio fino alla fine?»
«L'ho già detto.»
«Signor Engstrom, l'avverto che in questo momento le sue risposte vengono incise su nastro magnetico da un registratore elettronico. È suo interesse rispondermi con la massima esattezza. Le ripeto la domanda: ha proprio visto il film fino alla fine?»
«Sì, fino alla fine.»
«È al corrente che durante gli ultimi cinque minuti di proiezione vi fu un alterco tra una maschera e uno spettatore ubriaco?»
«Sì.»
«Può dirmi da quale motivo fu causato l'alterco?»
«L'uomo aveva bevuto e disturbava gli altri.»
«E come andò a finire?»
«Fuori. L'uomo fu cacciato fuori.»
«Questo episodio non si è mai verificato, signor Engstrom. E, mi dica, è al corrente che durante lo spettacolo delle sei, a causa di un guasto all'impianto, la proiezione fu interrotta per una quindicina di minuti?»
«No.»
«Non ricorda che il pubblico protestò ad alta voce?»
«No. Niente. Nessuna interruzione.»
«Ne è sicuro?»
«Sicuro. Nessuna interruzione.»
«E invece sì, come dimostra l'agenda dell'operatore di cabina. Quella sera, la proiezione iniziata alle sei non finì alle otto e quaranta, ma alle otto e quarantacinque circa, il che significa che il primo autobus che lei avrebbe potuto prendere uscendo dal cinema è quello che arriva all'incrocio tra la M Street e la Wisconsin Avenue non alle nove e venti, ma alle nove e quarantacinque. Di conseguenza, lei sarebbe arrivato a casa al più presto alle dieci meno cinque, e non alle nove e mezzo, come invece è accaduto. Ne abbiamo conferma nelle dichiarazioni della signora MacNeil. Ora, vuole spiegare questo curioso divario di orari?»
Karl non aveva perso la sua imperturbabilità nemmeno per un secondo, e la mantenne anche nel rispondere: «No.»
Il poliziotto lo guardò per un momento senza fiatare, poi sospirò e abbassò gli occhi, mentre toglieva il contatto del microfono nascosto nella fodera del suo cappotto. Tenne lo sguardo basso per un certo tempo, poi tornò a guardare Karl in faccia. «Signor Engstrom...» cominciò a dire con un tono carico di comprensione «è possibile che sia stato commesso un grave delitto. Si sospetta di lei. Il signor Dennings le rivolgeva spesso frasi ingiuriose, l'ho saputo da altre fonti. A quanto pare lei ha mentito nel dichiarare dove si trovava al momento della morte del regista. Tutti abbiamo le nostre debolezze, siamo esseri umani, no?... perciò succede, a volte, che un uomo sposato vada in qualche posto dove non vuole che si sappia che è stato. Ha notato che ho fatto in modo di parlare con lei in privato? Non in presenza degli altri. Non in presenza di sua moglie. Non sto più registrando, ho tolto il contatto. Può fidarsi di me. Se, per caso, quella sera lei è stato in compagnia di una donna che non è sua moglie, può dirmelo. Io farò fare un controllo, lei sarà fuori dai guai e sua moglie non lo verrà mai a sapere. Avanti, mi dica: dov'era quando Dennings è morto?»
Per un attimo, in fondo agli occhi di Karl vi fu come un guizzo, ma poi svanì.
«Al cinema!» ripeté caparbio, le labbra stirate.
Il poliziotto lo fissò intensamente, silenzioso e immobile. Nessun rumore, salvo il suo respiro ansante. I secondi scorrevano pesanti, pesanti...
«Mi arresta?» domandò Karl nel silenzio, finalmente. La sua voce era incrinata da un sottile tremore.
Il poliziotto non gli rispose, continuò soltanto a guardarlo con occhi fermi. Quando vide che Karl stava per dire qualcos'altro, si staccò bruscamente dalla balaustra e si diresse verso l'auto della polizia. Camminò senza affrettarsi, le mani affondate nelle tasche, guardando a destra e a sinistra con l'aria interessata di un turista in visita alla città.
Il volto di granito, impassibile, Karl lo seguì con gli occhi dal terrazzino. Vide Kinderman aprire la portiera della macchina, allungare la mano all'interno per prendere una scatola di fazzoletti di carta fissata sul cruscotto, estrarre un fazzolettino e soffiarsi il naso, guardando distrattamente al di là del fiume, quasi si chiedesse dove andare a fare colazione. Salì in macchina senza voltarsi indietro.
La macchina si mosse. Girò l'angolo della Trentacinquesima Strada.
Karl si guardò la mano. Non quella che teneva stretta la maniglia, ma l'altra. Vide che tremava.
Nel momento in cui udì chiudere la porta d'ingresso, Chris era dietro il banconcino del bar, nello studio. Stava versandosi sul ghiaccio una dose di vodka e rimuginando. Rumori di passi. Karl che saliva la scala. Chris prese la sua vodka e si avviò lentamente per tornare in cucina, agitando il ghiaccio con l'indice infilato nel bicchiere. Camminava quasi alla cieca. Qualcosa... qualcosa di terribilmente sbagliato era nell'aria. Come la lama di luce che filtra da sotto la porta di una stanza illuminata, un sottile bagliore di paura s'insinuò nell'oscurità che le avviluppava la mente. Che cosa c'era in attesa dietro la porta? Che cosa?
Non guardare!
Entrò in cucina, sedette accanto al tavolo, bevve un sorso di vodka.
«Secondo me è stato ucciso da un uomo eccezionalmente robusto...»
Lo sguardo le cadde sul libro della stregoneria.
Qualcosa... Che cosa?
Rumore di passi. Sharon che tornava dalla stanza di Regan. Entrò, sedette al tavolo, davanti alla macchina per scrivere. Infilò nel rullo un nuovo foglio di carta da lettere.
Che cosa...?
«Roba da far venire la pelle d'oca» mormorò Sharon, le punte delle dita sui tasti, gli occhi sul blocchetto degli appunti stenografici, posato accanto alla macchina.
Nessuna reazione. Nell'aria, un senso di inquietudine. Chris sorseggiava il liquore con espressione assente.
Sharon ruppe il silenzio con voce bassa, stonata. «Nella M Street e nella Wisconsin Avenue gli hippy hanno messo su un sacco di baracchette, uno schifo. Mescite clandestine. Negromanti. La polizia li chiama "Cani d'inferno".» Gli occhi sempre fissi sul blocchetto, tacque come se aspettasse un commento. Poi soggiunse: «Mi domando se Burke, a volte, non avesse...».
«Shar! Piantala, per piacere!» esplose Chris. «Ho abbastanza guai a cui pensare, con Regan in quello stato! Non lo capisci?» Aveva chiuso gli occhi e stringeva spasmodicamente il libro.
Sharon tornò immediatamente alla macchina per scrivere e per un minuto martellò i tasti a ritmo frenetico. Poi, bruscamente, schizzò dalla seggiola e lasciò là cucina. «Vado a fare una passeggiata» disse, gelida.
«Stai alla larga dalla M Street» le borbottò appresso Chris con malagrazia, senza sollevare gli occhi dal libro che teneva stretto tra le braccia incrociate.
«Sì.»
«E anche dalla N Street!»
Chris udì aprire e richiudere la porta. Sospirò. Provò una fitta di rimorso. Ma lo scatto di nervi aveva scaricato la tensione. Macché, non era vero. Il sottile bagliore tagliava ancora l'oscurità. Sottile, molto sottile.
Escludilo dalla mente!
Chris, tentando di concentrarsi nella lettura del libro, sospirò profondamente. Trovò la pagina. Divenne impaziente. Fece scorrere superficialmente pagine e pagine, leggendo un brano qua e là, in cerca della descrizione di sintomi simili a quelli manifestati da Regan. "... possessione demoniaca... sindrome... il caso di una bambina di otto anni... anormale... quattro uomini robusti per impedirle..."
Nel girare una pagina, Chris sbarrò gli occhi... e impietrì.
Rumori. Willie che tornava con le provviste.
«Willie... Willie?» chiamò Chris con voce atona.
«Sì, signora» rispose la domestica posando le borse della spesa. Senza alzare la testa, Chris sollevò il libro. «Willie, l'hai messo tu nello scaffale dello studio, questo libro?»
Willie diede un'occhiata al volume e annuì, poi si girò e cominciò a tirar fuori la roba dalle borse.
«Dove l'avevi trovato?»
«Su in camera da letto» rispose Willie, mettendo la pancetta in frigorifero nello scomparto delle carni.
«Quale camera da letto, Willie?»
«Quella della signorina Regan. L'ho trovato sotto il letto nel passare l'aspirapolvere.»
«Sei sicura?»
«Sì, signora, sono sicura.»
Chris non si mosse, non batté ciglio, mentre il ricordo della finestra spalancata nella camera di Regan, la notte della morte di Dennings, le precipitava addosso artigli pronti a ghermire, come un uccello rapace che avesse scelto in lei la sua preda; mentre riconosceva un segno che le era familiare; mentre fissava paralizzata una pagina del libro.
Dal margine era stata strappata, con una meticolosa precisione, una sottile strisciolina.
Alzò là testa di scatto: dalla stanza di Regan giungeva una sarabanda di rumori.
Un incessante martellare di colpi con risonanze allucinanti, come il rimbombo di un maglio che pestasse in una tomba!
Regan terrorizzata che gridava la sua angoscia, che implorava!
E Karl! Karl che urlava, rovesciando la sua collera su Regan.
Chris lasciò la cucina correndo.
Dio del cielo, che succede?
Fuori di sé, Chris arrancò su per le scale, verso la camera da letto. Udì come un tonfo, udì qualcuno barcollare incespicando, crollare al suolo come un masso, mentre sua figlia implorava piangendo: «No! Oh, no, non voglio! No, per piacere, no!». E Karl urlava...
Ma no, no, non era Karl... Era qualcun altro! Una voce di basso che tuonava minacciosa, furibonda.
Chris si precipitò in fondo al corridoio, irruppe nella camera da letto e rimase inchiodata sul posto, il fiato mozzo, paralizzata dallo shock: il martellare dei colpi, sempre più massiccio, rimbalzava da una parete all'altra; Karl giaceva al suolo privo di sensi vicino al cassettone e Regan — con le gambe tirate su e i piedi puntati su quel letto che sussultava e traballava violentemente — le ginocchia divaricate al massimo, teneva spasmodicamente stretto tra le mani dalle nocche che parevano uscire dalla pelle il bianco crocefisso di osso. Lo teneva accostato al corpo e lo fissava terrorizzata, quel crocefisso bianco, con occhi che le uscivano dalle orbite. Si era strappata la sonda gastrica dal naso: il suo viso era lordo del sangue che le stillava dalle narici.
«Oh, ti prego! No, no, ti prego!» gridava e, assurdamente, mentre le sue mani portavano il crocefisso sempre più vicino, sembrava lottare per respingerlo.
«Farai quello che ti dico io, brutta schifosa! Lo farai!»
Il minaccioso ruggito veniva da Regan, era lei a pronunciare quelle parole con voce aspra e gutturale, satura di malvagità. Contemporaneamente, in un baleno, la sua fisionomia, la sua espressione subirono una mostruosa trasformazione, si tramutarono in quelle della personalità ferina e demoniaca che già aveva fatto la sua comparsa durante l'ipnosi. Poi, sotto gli occhi di Chris impietrita dall'orrore, volti e voci delle due personalità si avvicendarono rapidamente.
«No!»
«Lo farai!»
«Per piacere, no!»
«Lo farai, puttana, lo farai, altrimenti ti ucciderò.»
«Per piacere!»
«Sì, invece, adesso ti farai fottere, fottere, fott...»
Ora era di nuovo Regan, con gli occhi spalancati, sbarrati, che tentava di sottrarsi a qualcosa di atroce, a una spaventosa conclusione, urlando a gola spiegata il suo terrore. Poi, improvvisamente, l'aspetto demoniaco s'impossessò di nuovo di lei, la possedette tutta, e la stanza fu invasa da un fetore nauseabondo, e un freddo glaciale filtrò dalle pareti. Cessò il martellare dei colpi e il lacerante grido di terrore di Regan si trasformò in un'ululante sghignazzata di scherno e di trionfante frenesia. La voce cavernosa, bestiale, assordante, ruggiva: «Ora mi appartieni, ora sei mia, vacca fetente! Puttana! Fatti fottere, su, fatti fottere!».
Paralizzata dall'orrore, il sangue gelato nelle vene, le guance spasmodicamente strette fra le mani, Chris era incapace di muoversi. Di nuovo l'alto cachinno demoniaco chiocciò gongolante, mentre la vagina di Regan — i tessuti dell'imene lacerati — schizzava sangue sulle lenzuola. D'un tratto, con un grido strozzato in gola, Chris si slanciò verso il letto, allungò una mano alla cieca per afferrare il crocefisso. Stava ancora urlando quando Regan, i lineamenti demoniacamente contorti, le si rivoltò contro con furia belluina, l'agguantò per i capelli, con uno strattone le fece abbassare la testa e premette forte il volto di lei sul proprio sesso, imbrattandolo di sangue, mentre agitava ritmicamente, freneticamente, il bacino.
«Aahhh, mammetta porca!» cantilenava sommessamente con voce gutturale, rauca, ingoiata, animalesca. «Baciami, baciami! Aahhhhh...» poi la mano che teneva attanagliata la testa la risollevò di schianto e l'altro braccio colpì con violenza incredibile il petto di Chris, facendola barcollare all'indietro fino ad andare a sbattere contro la parete opposta, mentre Regan sghignazzava beffarda.
Chris si accasciò sul pavimento, inebetita dall'orrore. La stanza era un turbinio di immagini e di suoni, e la testa le girava pazzamente, e la vista le si oscurava, e le orecchie le rintronavano di distorsioni caotiche. Cercò di rialzarsi, era troppo debole, crollò, e guardò verso il letto con la vista ancora annebbiata. Vide Regan che le volgeva le spalle e delicatamente, sensualmente, si masturbava mentre la voce profonda di basso cantilenava: «Ahh, così va bene, troia mia, porcella mia adorata, porcella mia, por...».
La voce si spezzò quando Chris, la faccia sporca di sangue, le membra doloranti, prese a strisciare faticosamente verso il letto, contornando il corpo di Karl. Si ritrasse di colpo, rannicchiandosi su se stessa, allibita, terrorizzata, perché nella nebbia che sfumava i contorni delle cose le sembrò di vedere la testa di sua figlia rotare lentamente su un torso perfettamente immobile, rotare mostruosamente, inesorabilmente, finché la faccia non fu in asse con la schiena.
«Lo sai cos'ha fatto, quella bagascia di tua figlia?» domandò la voce da folletto tanto familiare.
Sbattendo le palpebre, Chris guardò quel volto ghignante da pazza, le labbra aride e screpolate, gli occhi ferini simili a quelli di una volpe.
Urlò.
Urlò fino a che non svenne.
III
L'ABISSO
Gli dissero: «Che segni fai dunque affinché vediamo e crediamo in te?».
Vangelo secondo Giovanni 6: 30
...Vi fu [nel Vietnam] un colonnello che — per portare a quota 10.000 il numero dei nemici eliminati dalla sua unità — aprì una gara tra i suoi uomini: il premio, per il vincitore, consisteva in una settimana di "dolce vita" nell'alloggiamento dello stesso comandante.
"Newsweek", 1969
«...mi avete veduto e non credete...»
Vangelo secondo Giovanni 6: 36
I
Con le braccia appoggiate al parapetto del ponte sul Potomac, nella corsia riservata ai pedoni, Chris — nervosa, irrequieta — attendeva.
Alle sue spalle, il traffico era congestionato, caotico. Le automobili, quasi tutte dirette verso casa, verso i quartieri residenziali suburbani, avanzavano a singhiozzo. I conducenti, con il loro fardello di affanni quotidiani, strombettavano, contendendosi lo spazio, incuranti dei cozzi che graffiavano i paraurti.
Aveva telefonato a Mary Jo. Le aveva detto delle bugie:
«Regan sta bene. Anzi, avrei in mente di riunire di nuovo alcuni amici, una di queste sere. A proposito, come si chiama quel gesuita, sa, quello che è anche psichiatra?... Ho pensato che forse potrei invitare anche lui...»
Dal fiume le giunse, fluttuando nell'aria, l'eco di una risata: una coppietta di giovani in blue-jeans, su una canoa presa a nolo. Con un gesto nervoso, impaziente, scosse la cenere della sigaretta e scrutò con lo sguardo la corsia pedonale, in direzione della periferia. Un tizio si avvicinava rapidamente. Pantaloni cachi, maglione blu: non era un prete, non era lui. Tornò a guardare le acque del fiume e nella scia della rossa canoa vide turbinare il riflesso dello smarrimento che la rendeva impotente. Capriccio era il nome dipinto su un fianco della canoa.
Dei passi. L'uomo con il maglione blu era giunto quasi vicino a lei. Stava rallentando l'andatura. Con la coda dell'occhio lo vide appoggiare l'avambraccio sul bordo del parapetto, e allora voltò rapidamente la testa dall'altra parte, verso la lontana Virginia.
«Tiri dritto, lazzarone» gli disse con voce bassa, ringhiosa, facendo schizzare la sigaretta nel fiume «se no, giuro su Dio che urlo finché non arriva una guardia!»
«Signorina MacNeil..., sono padre Karras.»
Chris sussultò, arrossì, con uno scatto si girò immediatamente verso di lui. Quel volto angoloso dai lineamenti irregolari! «Oh, mio Dio! Oh, mi scusi... Gesù!»
Confusa, si tolse gli occhiali da sole, bistrattandoli con dita nervose, ma se li rimise immediatamente non appena s'accorse che gli occhi tristi, scuri, del prete scandagliavano i suoi.
«Mi scusi lei. Avrei dovuto avvertirla che sarei venuto in borghese.»
La voce di lui parve lenirle ogni dolore, toglierle dalle spalle ogni fardello. Le mani possenti del gesuita si allacciarono con un gesto delicato. Grandi, eppure sensibili, dalle vene sporgenti, michelangiolesche. Attirarono e trattennero all'istante lo sguardo di Chris, senza che lei sapesse perché.
«Ho pensato che così avrei dato meno nell'occhio» proseguì Karras. «Lei sembrava tanto preoccupata di tenere la cosa segreta...»
«Già, e avrei fatto meglio a preoccuparmi di non fare la figura della stupida» ribatté Chris, rovistando nervosamente la borsetta. «Sa, ho creduto che lei fosse...»
«Umano?» la interruppe il gesuita con un sorriso.
«Questo lo avevo già intuito quel giorno che la vidi nel campus» disse Chris, passando a frugare nelle tasche del tailleur. «Perciò le ho telefonato. Lei mi era sembrato umano.» Alzò gli occhi e notò che egli stava guardandole le mani. «Ha una sigaretta, padre?»
Karras infilò le dita nel taschino della camicia. «Fa niente se è senza filtro?»
«In questo momento fumerei anche la paglia.»
Con un colpetto, egli fece sporgere una Carnei dal pacchetto. «Cosa che a me capita spesso, tenuto presente il mio ricco appannaggio...»
«Voto di povertà» mormorò Chris, sforzandosi di sorridere, mentre estraeva la sigaretta.
«Sapesse come è utile, a volte, il voto di povertà» commentò Karras, mettendo la mano in tasca per cercare i fiammiferi.
«Per esempio?»
«Fa sembrare più gustosa la paglia.» Un accenno di sorriso, ancora una volta, mentre osservava la mano di lei che reggeva la sigaretta. La mano tremava. Egli vide la sigaretta oscillare di qua e di là, a piccoli scatti. Immediatamente, gliela tolse dalle dita, se la mise tra le labbra. L'accese tenendo le mani a coppa intorno al fiammifero. Tirò una boccata. Nel restituirla, ebbe cura di tenere gli occhi fissi sul movimento incessante delle macchine sul ponte. «Così è più facile» disse. «Passando, le macchine fanno vento.»
«Grazie, padre.»
Chris lo guardò con sincero apprezzamento, lo guardò con gratitudine, persino con speranza. Aveva capito il valore del gesto. Aveva visto che, nell'accendere la propria sigaretta, Karras si era dimenticato di proteggere la fiammella. Dopo che egli ebbe tirato la prima profonda boccata, entrambi si appoggiarono al parapetto, fianco a fianco.
«Di dov'è lei, padre Karras? Dov'è nato?»
«A New York.»
«Pure io. Però non ci tornerei proprio. E lei?»
Karras ricacciò indietro qualcosa che gli era salito alla gola. «No, non piacerebbe nemmeno a me.» Si sforzò di sorridere. «Ma, tanto, le decisioni di questo genere non spettano a me.»
«Dio, che sciocca sono... Lei è un sacerdote, deve andare dove la mandano.»
«Infatti, è così.»
«Com'è che uno spremicervello s'è fatto prete?»
Egli era ansioso di sapere quale fosse il problema urgente che l'attrice aveva da sottoporgli, stando a quanto lei gli aveva detto per telefono, ma per intuito capì che Chris stava cercando a tastoni la sua strada... Verso cosa? Non doveva farle fretta. Sarebbe venuto il momento... sarebbe venuto.
«Bisogna invertire i termini» la corresse con gentilezza. «La Compagnia...»
«Che Compagnia?»
«La Compagnia di Gesù. È il nostro ordine.»
«Ah! Capisco.»
«La Compagnia mi ha mantenuto agli studi, mi ha fatto prendere la laurea in medicina e la specializzazione in psichiatria.»
«Dove?»
«Oh... Harvard... John Hopkins... Il Bellevue.»
D'improvviso si rese conto che inconsciamente cercava di fare colpo su lei. Perché?, si chiese. Trovò immediatamente la risposta: i rioni miserabili della sua infanzia, i posti più a buon mercato nei cinema del quartiere basso, nell'East Side. Il piccolo Dimmy che chiacchierava con una diva del cinema...
«Però, mica male» disse Chris, annuendo col capo per esprimere la sua considerazione.
«I nostri voti di povertà non includono la povertà intellettuale.»
Lei avvertì la nota d'irritazione. Si strinse nelle spalle e si voltò, tornò a guardare l'acqua che scorreva sotto il ponte. «Scusi, non volevo offendere. Io non la conosco e...» Aspirò a lungo, profondamente, il fumo della sigaretta, lo buttò fuori lentamente, poi schiacciò il mozzicone sul parapetto. «Lei è un amico di padre Dyer, vero?»
«Sì.»
«Molto amico?»
«Molto, sì.»
«Le ha raccontato del pranzo...?»
«A casa sua?»
«Sì, a casa mia.»
«Me ne ha parlato. Ha detto che lei gli era sembrata umana.»
Chris non capì l'allusione. O non la raccolse. «Le ha parlato di mia figlia?»
«No. Non sapevo nemmeno che lei avesse dei figli.»
«Una bambina di dodici anni. Non le ha detto niente, di lei...?»
«No.»
«Non le ha raccontato cosa fece, mia figlia, quella sera?»
«Se le dico che non l'ha nemmeno nominata...»
«Allora è vero che voialtri preti sapete tenere la bocca chiusa. Non è così?»
«Dipende» rispose Karras.
«Da che cosa?»
«Dal prete.»
Sulla soglia del suo Io cosciente, il gesuita sentì affiorare un ammonimento: certe donne, afflitte da una morbosa attrazione per i preti, mascherano l'inconscio desiderio di attingere l'irraggiungibile sotto le false spoglie di qualche altro problema.
«Mi riferisco alla confessione, padre. Voi sacerdoti cattolici non avete il diritto di parlare delle cose che la gente vi racconta in confessione, vero?»
«Esatto.»
«E quelle dette soltanto in confidenza?...» domandò Chris. «Mettiamo che, per esempio...» Ora agitava le mani, con gesti rapidi e nervosi. «Semplice curiosità... No, veramente mi piacerebbe proprio saperlo. Ecco, se una persona, un criminale, mettiamo, un assassino o qualcosa del genere, capisce?, se questo criminale si rivolgesse a lei per un aiuto, lei sarebbe tenuto a denunciarlo alle autorità?»
Che stesse cercando di acquisire qualche nozione sulla religione cattolica? Di chiarire dei dubbi che la travagliavano sull'arduo cammino della conversione? Karras sapeva perfettamente che certa gente procedeva verso la salvezza come se camminasse su un ponte traballante lanciato al di sopra di un abisso. «Se questa persona si rivolgesse a me per un aiuto spirituale, ritengo che non sarei tenuto a tradirne la confidenza» rispose.
«Non lo farebbe davvero?»
«No, non lo farei, ma farei del mio meglio per convincerla a confessare spontaneamente.»
«Un'altra cosa, padre: che cosa fa quando deve praticare un esorcismo?»
«Come ha detto, scusi?»
«Se una persona è posseduta da un demone, lei cosa fa per praticare un esorcismo?»
«Dunque... anzitutto bisognerebbe mettere questa persona in una macchina del tempo e rispedirla indietro nel sedicesimo secolo.»
Chris lo guardò disorientata. «Come sarebbe a dire? Non capisco.»
«Signorina MacNeil, cose del genere non succedono più.»
«Da quando?»
«Da quando abbiamo capito che esistono le malattie mentali. La paranoia, la scissione della personalità... Tutte quelle belle cose che mi hanno insegnato a Harvard.»
«Ma... dice sul serio?»
La sua voce s'era fatta tremula, il tono smarrito. Karras si rammaricò di averle risposto con tanta leggerezza. Come mai?, si chiese. Lo aveva fatto senza riflettere: la risposta gli era salita alle labbra spontaneamente.
«Molti cattolici colti» le disse con tono garbato «non credono più al diavolo. E per quanto concerne l'ossessione, le dirò che dal giorno in cui sono entrato nell'ordine non ho mai conosciuto un sacerdote che avesse, anche una sola volta nella sua vita, praticato un esorcismo. Non uno.»
«Ma lei è davvero un prete» gli domandò Chris con una asprezza amara e delusa «oppure uno mandato dall'ufficio collocamento delle controfigure? Sì, dico, allora come si spiegano tutte quelle storie che si leggono nella Bibbia, di Cristo che cacciava i demoni dai corpi degli ossessi?»
Ancora una volta egli le rispose senza riflettere, con tono pungente: «Se a quelle persone che si credevano ossesse Cristo avesse detto che erano malate di schizofrenia, e lo erano, secondo me, probabilmente lo avrebbero crocefisso tre anni prima».
«Oh, ma davvero?» Chris si aggiustò gli occhiali con mano malferma e abbassò il tono della voce, nel tentativo di controllarla. «Bene, padre Karras, sarà... Ma si dà il caso che una persona a me molto cara sia, probabilmente, ossessa... Ha assoluto bisogno di un esorcismo. Vuole farlo lei?»
Karras ebbe bruscamente l'impressione di trovarsi in un mondo irreale. Il ponte sul Potomac; al di là del fiume, l'Hot Shoppe; il traffico; Chris MacNeil, la star del cinema. Mentre egli la fissava stillandosi il cervello per trovare una risposta adeguata, Chris si tolse gli occhiali e il gesuita trasalì, profondamente colpito da quegli occhi arrossati e stralunati, in cui si leggeva un'invocazione disperata. Capì che quella donna diceva sul serio.
«Padre Karras, si tratta di mia figlia» gemette lei raucamente. «Mia figlia!»
«A maggior ragione» le rispose finalmente il gesuita con tono gentile «deve lasciar da parte l'idea dell'esorcismo e...»
«Ma perché? Dio mio, non capisco perché!» La sua voce suonò alta e stridula e angosciata.
Con un gesto di conforto, egli le prese il polso tra le mani. «Anzitutto» le disse, cercando di lenire quel dolore «perché si rischierebbe di peggiorare le cose.»
«Per quale motivo?»
«Il rituale dell'esorcismo ha un pericoloso potere di suggestione. Potrebbe far nascere l'idea dell'ossessione là dove non esiste, o rafforzarla se già c'è. In secondo luogo, signorina MacNeil, prima di dare la sua approvazione per un esorcismo, la Chiesa conduce indagini approfondite per mettere in chiaro se veramente esistano ragioni che lo giustifichino. E ciò porta via parecchio tempo. Frattanto, sua figlia...»
«Non potrebbe farlo lei, l'esorcismo?» supplicò Chris, gli occhi colmi di lacrime, il labbro inferiore agitato da un tremito.
«Qualsiasi sacerdote ha la facoltà di esorcizzare, ma prima deve ottenere l'autorizzazione della Chiesa, e, francamente, questo avviene molto di rado. Perciò...»
«Per lo meno, non può venire a vederla?»
«Come psichiatra, sì. Certo che potrei, ma...»
«Regan ha bisogno di un prete!» urlò Chris, tagliandogli la parola in bocca, i lineamenti stravolti dalla collera, dallo struggimento. «Io l'ho portata da tutti i maledetti, stramaledetti, fottuti psichiatri di questo mondo... Mi hanno mandata da lei!... E adesso lei mi manda da loro!»
«Ma sua...»
«Gesù santo, possibile che nessuno voglia aiutarmi?» Il grido lancinante rimbalzò nitido sulle acque del Potomac. Spaventati, alcuni uccelli sfrecciarono via con grida acute. Con un gemito, Chris si abbatté sul petto di Karras, singhiozzando convulsamente. «Per amor del cielo, mi aiuti!... Mi aiuti! La prego, la supplico!...»
Il gesuita abbassò lo sguardo sulle spalle sussultanti dell'attrice. Con mano delicata le sfiorò i capelli. Gli automobilisti che passavano sul ponte, chiusi nelle loro scatole prigioniere del traffico, li guardavano dai finestrini, col disinteresse del passante frettoloso.
«Su, su, si calmi, verrò» sussurrò Karras battendole dei colpetti sulla spalla. Voleva rassicurarla, assecondarla, arginare un possibile attacco isterico. «... Mia figlia» aveva detto. Ma ora era lei che aveva bisogno delle cure di uno psichiatra.
«D'accordo, vengo con lei» le disse. «Andiamo dalla sua bambina.»
Chris si avviò verso casa ed egli — ancora pervaso da una stagnante sensazione d'irrealtà — le camminò accanto in silenzio. Pensava alla conferenza che l'indomani doveva tenere agli studenti della facoltà di medicina dell'università di Georgetown. Era preoccupato perché ancora non aveva preparato gli appunti.
Mentre salivano gli scalini che portavano al terrazzino, Karras lanciò un'occhiata in fondo alla strada, alla residenza dei gesuiti, e si rese conto che ormai avrebbe dovuto rassegnarsi a saltare la cena: erano le sei meno dieci. Osservò Chris. Infilata la chiave nella toppa, lei aveva esitato un momento prima di girarsi verso di lui. «Padre, non sarebbe meglio che lei indossasse la sua veste talare...?»
La voce: com'era infantile, com'era ingenua... «Troppo pericoloso» le rispose. Lei annuì. Aprì la porta. In quel preciso istante egli ebbe l'acuta percezione di una oscura premonizione che lo fece rabbrividire, che gli si insinuò nel sangue come una manciata di pungenti ghiaccioli.
«Padre Karras?»
Alzò gli occhi. Chris era già entrata e teneva la porta aperta, per lui.
Per un attimo l'esitazione lo inchiodò sul posto, poi, bruscamente, egli si mosse e oltrepassò la soglia di quella casa con la strana sensazione che in quel momento qualcosa finisse per sempre.
Lo accolse un vociare assordante. Veniva dal piano superiore. Una voce profonda, roboante, che tuonava parole oscene, che minacciava irosa, che urlava, satura di odio e di frustrazione. Trapassava le pareti.
Il gesuita guardò Chris. Immobile, lei lo fissava in silenzio. Alla fine ella si girò e attraversò l'ingresso. Egli la seguì su per le scale, lungo il corridoio. Braccia incrociate sul petto, testa china, Karl era appoggiato con le spalle alla parete, esattamente dirimpetto alla porta della camera di Regan. Quando il domestico alzò lentamente lo sguardo verso Chris, Karras lesse nei suoi occhi sbigottimento e terrore. La voce proveniente dalla camera da letto, udita così da vicino, rimbombava alta, al punto da sembrare amplificata elettronicamente.
«La stessa cosa: non vuole le cinghie» disse Karl a Chris e le parole parvero spezzarglisi in gola, strozzate dallo sgomento.
«Mi scusi un minuto, padre, torno subito» disse Chris in tono sommesso.
Ripercorse in senso inverso il corridoio ed entrò nella sua camera da letto. Karras la seguì con gli occhi, poi tornò a guardare Karl. Notò che lo svizzero lo fissava intensamente.
«Lei è un prete?» domandò Karl.
Karras annuì, ma immediatamente dopo si voltò di scatto verso la porta della camera di Regan. La voce rabbiosa era stata sostituita da una specie di prolungato, assordante bramito animalesco, simile al muggito di un manzo.
Sentì qualcosa premere contro la palma della sua mano: abbassò lo sguardo. «Questa è lei» stava dicendogli Chris. «Questa è Regan.» Gli aveva messo in mano una fotografia. Egli la guardò. Una bambina molto carina. Con un sorriso dolcissimo.
«È stata fatta quattro mesi fa» precisò Chris articolando a stento. Si riprese la fotografia e con un cenno della testa indicò la porta della camera da letto. «Ora entri là dentro e veda com'è, adesso...» Si appoggiò con le spalle alla parete, a fianco di Karl. «Io aspetto qui.»
«Chi c'è là dentro, con lei?» le domandò Karras.
«Nessuno.»
I loro sguardi s'incrociarono e nessuno dei due abbassò gli occhi. Il gesuita volse le spalle e, cupo in volto, si avvicinò alla porta. Non appena egli posò la mano sulla maniglia, il rugghio proveniente dalla stanza cessò bruscamente. Nel persistente silenzio, Karras esitò un secondo, poi entrò pian piano nella camera. Per poco non si ritrasse indietro, colpito in pieno volto da una zaffata violenta e mefitica, quasi palpabile, di escrementi putrefatti.
Respinse immediatamente l'istintivo senso di ripulsa, si chiuse la porta alle spalle. Guardò il letto. Il suo sguardo stupefatto non riuscì più a staccarsi da quella cosa che era Regan, da quella creatura animalesca coricata supina, con la testa sollevata dal cuscino, gli occhi spalancati, immensi, sporgenti tra le palpebre violacee, brillanti di una luce di folle astuzia, fiammeggianti di acuta perspicacia. Occhi fissi su di lui, che lo guardavano con interesse e rancore, che lo scrutavano attentamente, vivacissimi, nel volto simile a un teschio, a una orrenda maschera trasudante una sconvolgente malvagità. Alla fine Karras spostò lo sguardo sulla massa arruffata, aggrovigliata dei capelli, sulle braccia e sulle gambe scheletrite, sul ventre gonfio grottescamente sporgente... Poi tornò a guardare gli occhi: non lo lasciavano un istante... Lo trapassavano... Girarono nelle orbite per seguirlo mentre lui si avvicinava alla finestra, nei pressi della quale erano stati collocati un tavolo e una seggiola.
Il gesuita prese la seggiola e la portò vicino al letto. «Ciao, Regan» disse con tono affettuoso, amichevole. «Sono un amico della tua mamma. Mi ha detto che ultimamente non ti sei sentita molto bene.» Sedette. «Perché non mi racconti cosa c'è che non va? Sarei proprio contento se potessi fare qualcosa per te.»
Gli occhi fiammeggiarono selvaggiamente, senza perdere nulla della loro fissità; un filo di saliva giallastra colava dall'angolo della bocca, imbrattando il mento. Poi le labbra si arricciarono scoprendo i denti in un riso ferino, si arcuarono in una smorfia di scherno.
«Bene, bene, bene» disse Regan guardandolo con gioia perversa, beffarda.
Karras si sentì drizzare i capelli sulla nuca perché la voce, satura di minaccia e di potenza, era impostata su una incredibile tonalità di basso profondo.
«Così, sei tu, eh?... Hanno mandato te! Bene, tu non ci fai proprio paura, ma proprio per niente!»
«Giustissimo. Io ti sono amico. Voglio aiutarti.»
«E allora potresti slacciare queste cinghie» gracchiò Regan. Con uno strattone aveva leggermente sollevato i polsi e Karras, così, poté vedere che erano assicurati al letto da un doppio sistema di corregge costrittive.
«Ti danno noia?» domandò.
«Immensamente. Sono un supplizio infernale.» Gli occhi scintillarono di malizia, come se un segreto gioco la divertisse profondamente.
Karras vide i graffi sulle guance, le fenditure delle labbra che probabilmente si era morsa a sangue. «Ho paura che tu ti faccia del male, Regan.»
«Io non sono Regan» vociò lei, sempre con quel ghigno orrendo che sembrava essere diventato l'espressione definitiva del suo volto. Quale incongruenza, in quel volto, l'apparecchio per l'allineamento dei denti, pensò Karras.
«Davvero? Ma allora sarà bene che facciamo le presentazioni. Io sono Damien Karras» disse il gesuita. «E tu chi sei?»
«Sono il diavolo.»
«Bene, molto bene.» Karras tentennò la testa in segno di approvazione. «Adesso possiamo parlare.»
«Quattro chiacchiere?»
«Se vuoi.»
«Ottimo per l'anima. Però ti dovresti rendere conto che con questi lacci non posso parlare a mio agio. Sono abituato a gesticolare. Come tu ben sai, caro Karras, io ho trascorso un sacco di tempo a Roma. Perciò sii gentile e toglimi queste cinghie.»
Quanta precocità, sia nel linguaggio come nella concezione del pensiero, rifletté tra sé e sé il gesuita. Vivamente interessato anche da un punto di vista professionale, si sporse in avanti per domandarle: «Dunque, tu saresti il diavolo?».
«Te lo garantisco.»
«E allora perché non fai sparire le cinghie, così, semplicemente?»
«Troppo volgare come prova del mio potere, mio caro Karras. Troppo rozza. In fin dei conti, io sono un principe!» Un riso chioccio, smorzato. «Preferisco di gran lunga la persuasione. Una cosa in famiglia, Karras, tra noi che apparteniamo alla medesima comunità. Inoltre, sciogliendomi da solo dai lacci, ti defraudo della possibilità di praticare un atto di carità, amico mio.»
«Ma la carità» incalzò il gesuita «è una virtù, qualcosa cioè che il diavolo farebbe di tutto per ostacolare. Perciò, in definitiva, non sciogliendoti dalle cinghie io ti faccio un favore.» Stringendosi nelle spalle, soggiunse: «A meno che, ben inteso, tu non sia affatto il diavolo. Nel qual caso, forse, potrei toglierti i lacci».
«Sei una vera volpe, Karras. Se soltanto il caro Erode fosse qui con noi, sai come se la godrebbe!»
«Quale Erode?» domandò il gesuita, stringendo gli occhi nello sforzo di concentrarsi. Stava forse alludendo al fatto che Cristo aveva chiamato Erode "quella volpe"? «Di Erode ce ne sono stati due. Parli forse del re di Giudea?»
«Il tetrarca della Galilea!» Il suo urlo esplose carico d'ira e di rovente disprezzo, ma subito dopo eccola di nuovo ghignare, blandire, con quella voce sinistra. «Lo vedi? Tutta colpa di questi dannati lacci che mi fanno uscire dai gangheri. Toglimeli. Toglimeli e io ti predirò il futuro.»
«La tentazione è grande.»
«È il mio forte.»
«Sì, ma come faccio a sapere che puoi veramente leggere nel futuro?»
«Dal momento che sono il diavolo...»
«Già, così dici tu, ma non vuoi darmene una prova.»
«Tu non hai fede.»
Karras s'irrigidì. «In che cosa?»
«In me, caro Karras, in me.» Qualcosa di beffardo e di perverso danzava nel fondo di quegli occhi. «Quante cose vuoi! Le prove, i segni in cielo...»
«Senti, basterà qualcosa di molto semplice» propose il gesuita. «Per esempio: il diavolo sa tutto, non è vero?»
«Non tutto, Karras, quasi tutto... quasi. Lo vedi? Non fanno che dire che io sono superbo, e invece non lo sono affatto. Allora, a cosa miri, volpe?» Negli occhi dalle cornee giallastre, iniettate di sangue, lampi di scaltrezza.
«Pensavo che potresti darmi un saggio dell'ampiezza delle tue cognizioni.»
«Ma certo! Il più grande lago dell'America del Sud» irrise Regan, gli occhi colmi di gioia malvagia «è il lago Titicaca nel Perù. Ti basta?»
«No. Dovrò domandarti qualcosa che soltanto il diavolo potrebbe sapere. Per esempio: dov'è Regan? Lo sai?»
«È qui.»
«Qui dove?»
«Dentro di me.»
«Lasciamela vedere.»
«Perché?»
«Ma per provare che hai detto la verità!»
«Che è, hai voglia di fotterla? Sciogli le cinghie e io te lo lascio fare!»
«Lasciamela vedere.»
«È proprio un buon bocconcino!» E ammiccò con malizia, mentre la sua lingua coperta da una patina giallastra, pendula come quella di un cane, leccava la bava sulle labbra screpolate. «Per la conversazione, però, è un disastro. Ti consiglio vivamente di attenerti a me.»
«Insomma, è chiaro che tu non sai dove sia...» Karras fece spallucce. «Per cui, a quanto pare, tu non sei il diavolo.»
«Sì, che lo sono!» ruggì Regan, scattando improvvisamente in avanti, i lineamenti stravolti dall'ira. Il gesuita rabbrividì, all'udire la voce stentorea terrificante rimbombare rimbalzare da una parete all'altra. «Sono il diavolo!»
«Allora, dammene la prova, lasciami vedere Regan!»
«Ora ti faccio vedere io! Ti leggerò nella mente!» La sua eccitazione ribolliva furiosa. «Pensa a un numero tra l'uno e il dieci!»
«No, come prova non servirebbe a niente. Voglio vedere Regan.»
Bruscamente, la "cosa" prese a ghignare sommessamente, appoggiandosi alla testiera del letto. «No, Karras: per te, niente potrebbe mai provare niente! Fantastico! Davvero fantastico! Comunque, cercheremo di esercitare su di te il nostro fascino. Dopo tutto, adesso come adesso, noi non gradiremmo affatto di dover rinunciare a te.»
«Noi?!... Chi sarebbero questi "noi"?» Vivamente interessato il gesuita voleva sapere di più.
«Siamo parecchi, dentro di questa porcellina... Un bel gruppetto!» rispose la "cosa", annuendo. «Sissignore, una piccola folla piuttosto fuori dal comune. Più tardi vedrò se sarà il caso di fare le presentazioni, con la dovuta cautela. Per il momento sento un prurito da impazzire in un punto dove non posso arrivare, con le mani legate così... Ti rincrescerebbe sciogliere una cinghia per un momentino solo, amico Karras?...»
«No. Dimmi dove ti fa prurito e ti gratterò io.»
«Ah, il furbacchione! Ti andrebbe una palpatina, eh?»
«Fammi vedere Regan e forse dopo scioglierò una delle cinghie» propose il gesuita. «Se...»
Tacque e si tirò indietro di scatto, tanto lo shock fu violento: improvvisamente, il volto che stava guardando aveva subito una fulminea metamorfosi: occhi colmi di terrore, bocca spalancata per una disperata invocazione di aiuto, che non oltrepassò le labbra.
Ma fu un attimo: immediatamente la personalità di Regan, quella autentica, svanì in un indistinto rapido rimodellamento del volto. «Per cortesia, vuole togliermi queste cinghie?» chiese una voce amabile, scandendo le parole con un perfetto accento britannico.
Subito dopo, in un baleno, la personalità demoniaca riprese il sopravvento. «Padre, non darebbe un piccolo aiuto a un povero vecchio che da giovane serviva messa?» gracchiò e — rovesciando indietro la testa — sghignazzò.
Pietrificato sulla sedia dallo sbigottimento, il gesuita sentì sulla nuca il tocco di mani gelide, più percettibile, ora, più fermo. La "cosa-Regan" scoppiò di nuovo a ridere, fissandolo con sguardo beffardo.
«Oh, a proposito, Karras, tua madre è qui dentro, insieme con tutti noi. Vuoi inviarle un messaggio? Vedrò io di farglielo avere.»
D'improvviso, un getto di vomito arrivò fino ai piedi della sedia. In parte, schizzò sul maglione e su una mano del gesuita, che invano tentò di evitarlo, scostandosi di lato.
Regan ridacchiò esultante. Bianco come un cencio lavato, Damien Karras guardò il letto, poi la mano che gocciolava vomito sullo scendiletto. «Se ciò che dici è vero» mormorò, come stordito «allora tu devi conoscere il nome di battesimo di mia madre. Qual è?»
La "cosa-Regan" sibilò, occhi balenanti da folle, testa leggermente e ritmicamente ondeggiante come quella di un serpente a sonagli.
«Qual è?» insistette Karras.
Regan muggì come un manzo inferocito e il suono bestiale trapassò gli scuri, fece vibrare i vetri della larga finestra. Gli occhi le si rovesciarono completamente nelle orbite.
Il muggito non accennava a cessare. Dopo essere rimasto ancora qualche tempo, Karras tornò a guardarsi la mano e uscì dalla camera.
Chris si staccò immediatamente dalla parete e guardò angustiata il maglione del gesuita. «Che cosa è successo? Ha rigettato?»
«Mi dà una salvietta, per piacere?»
«Lì, lì c'è un bagno.» E Chris si affrettò ad indicargli una delle porte che davano sul corridoio. «Karl, stai attento a Regan» disse al domestico, e seguì padre Karras nella stanza da bagno.
«Mi dispiace tanto» esclamò agitata, strappando un asciugamano dalla sbarra. Il gesuita si avvicinò al lavabo.
«Mi dica una cosa: non le somministra qualche tranquillante?» domandò.
Chris aprì i rubinetti dell'acqua. «Sì, il Librium. Si tolga il maglione, padre, così può lavarsi meglio.»
«In che dosi?» domandò ancora il gesuita, annaspando con la mano sinistra, quella pulita, per togliersi l'indumento.
«Aspetti, l'aiuto.» Chris afferrò il bordo della maglia. «Be', oggi ne ha avuti quattrocento milligrammi.»
«Quattrocento milligrammi?!»
Chris aveva sollevato il maglione fino all'altezza del petto. «Sì, altrimenti non saremmo mai riusciti a metterle le cinghie. E anche così ci sono voluti gli sforzi di tutti noi insieme...»
«Lei ha somministrato a sua figlia quattrocento milligrammi di Librium? In una sola volta?»
«Su, alzi le braccia, padre.» Egli obbedì e Chris gli sfilò con garbo la maglia. «Regan ha una forza incredibile, lei non può immaginarsi...»
Fece scorrere la tenda della doccia e gettò l'indumento nella vasca. «Dirò a Willie di lavarlo e poi glielo restituirò, padre. E scusi tanto.»
«Non si preoccupi, non ha importanza.» Slacciò il polsino destro della sua camicia bianca inamidata e arrotolò la manica, scoprendo l'avambraccio robusto, muscoloso, ricoperto da una fitta, soffice peluria bruna.
«Mi dispiace» ripeté Chris ancora una volta sottovoce, sedendosi lentamente sull'orlo della vasca.
«Ma si alimenta, per lo meno?» chiese Karras, tenendo la mano sotto il rubinetto dell'acqua calda per far scorrere via il vomito.
Le dita di Chris si aprivano e chiudevano spasmodicamente sull'asciugamano rosa con il nome — Regan — ricamato in blu. «No, niente. Soltanto il Sustagen, approfittando dei momenti in cui è addormentata. Ma si è strappata la sonda dal naso e...»
«Quando?»
«Oggi.»
Turbato, Karras si insaponava e risciacquava le mani soprappensiero. Dopo un breve silenzio, con tono grave: «Le consiglierei il ricovero in un ospedale».
«Non posso, questo non posso farlo...» mormorò Chris con voce priva di inflessioni.
«Perché?»
«Non posso, ecco!» ripeté Chris angosciata, tremando quasi. «Non voglio che venga a contatto con altre persone! Regan ha...» Chinò bruscamente la testa. Aspirò. Espirò. «Regan ha fatto qualcosa, padre... Non posso rischiare che qualcuno scopra cosa ha fatto... Nemmeno se si tratta di un medico... o di un'infermiera...» Rialzò la testa. «Nessuno!»
Il volto sempre più cupo, Damien Karras chiuse i rubinetti. «... Se una persona, un criminale, diciamo...» A sua volta, chinò il capo, gli occhi fissi sul lavabo. «Chi le somministra il Sustagen? E il Librium? E tutte le altre medicine?»
«Noi qui di casa. Il medico ci mostrò come si deve fare.»
«E le ricette?»
«In questo non potrebbe darmi una mano lei, padre?»
Il gesuita voltò la testa, tenendo le mani alzate sopra il lavabo come un chirurgo dopo il lavaggio che precede un'operazione. Incontrò lo sguardo di Chris e per un istante in quegli occhi angosciati intravvide la presenza di un qualche terribile segreto, di un terrore profondo. Con un cenno della testa indicò l'asciugamano che lei stringeva tra le mani. Chris non reagì, non capì. «L'asciugamano, per favore» egli disse sottovoce.
«Oh, scusi!» Glielo porse subito, con un gesto maldestro, nervoso, continuando a fissarlo in volto, come aspettando ansiosamente un verdetto. «Padre, che cosa ne pensa?» domandò alla fine, mentre il gesuita si asciugava le mani. «Crede che Regan sia ossessa?»
«E lei lo crede?»
«Che ne so, io? L'esperto in materia è lei, no?»
«Ma lei che cosa sa sull'argomento?»
«Soltanto quel poco che ho letto. E alcune cose che mi hanno detto i dottori.»
«Quali dottori?»
«Quelli della clinica Barringer.»
Egli piegò l'asciugamano con cura e lo ricollocò al suo posto.
«Lei è cattolica?»
«No.»
«Quale religione pratica?»
«Nessuna, ma io...»
«Come mai si è rivolta a me, allora? Chi l'ha consigliata?»
«Mi sono rivolta a lei perché sono disperata!» esplose Chris, agitatissima. «Nessuno mi ha consigliata!»
Egli le voltava le spalle, tenendo ancora in mano le frange dell'asciugamano. «Prima, sul ponte, lei mi ha detto che gli psichiatri l'avevano consigliata di rivolgersi a un sacerdote...»
«Non ricordo nemmeno più cosa le ho detto! Avevo perso la testa, evidentemente non sapevo quello che dicevo!»
«Senta: del motivo che l'ha indotta a rivolgersi a me non m'importa assolutamente niente» affermò Karras, sforzandosi di controllare l'istintiva veemenza della sua reazione. «A me importa unicamente di fare ciò che è più indicato per il bene di sua figlia. Però una cosa voglio dirle subito con chiarezza: se lei va cercando un esorcismo considerandolo una specie di shock-terapia che agisce a mezzo dell'autosuggestione, allora sarà meglio che si rivolga all'ufficio collocamento delle controfigure, perché, signorina MacNeil, la Chiesa non starà mai al gioco e alla fine lei avrà soltanto perso del tempo prezioso.» Per impedire alle sue mani di tremare, Karras si afferrò saldamente alla sbarra che reggeva gli asciugamani. Cosa mi prende? Cos'è successo?
«Signora MacNeil, sia detto per inciso» udì Chris ribattergli seccamente.
Il gesuita chinò la testa e raddolcì il tono della voce. «Guardi: che si tratti di un demone o di una malattia mentale, farò tutto quanto sta in me per cercare di aiutarla. Però devo sapere la verità. È importante, importante per Regan. Adesso come adesso, io brancolo nel buio. Mi trovo in uno stato di completa ignoranza, fatto che non ha niente di straordinario o di anormale, essendo questa la mia condizione abituale. E ora, perché non usciamo da questa stanza da bagno e non andiamo dabbasso, per parlare tranquillamente?» Girandosi verso di lei, con un tenue, rassicurante sorriso le porse la mano per aiutarla ad alzarsi in piedi. «Una tazza di caffè mi farebbe bene.»
«A me farebbe bene un drink.»
Karl e Sharon s'incaricarono di montare la guardia nella camera di Regan; Chris e Karras si ritirarono nello studio. Lei sedette sul sofà, il gesuita su una delle poltrone accanto al caminetto. Chris fece la cronistoria della malattia di Regan, avendo però cura di omettere qualsiasi allusione ai fenomeni che potevano avere una qualsiasi attinenza con Dennings.
Il gesuita ascoltò quasi senza aprir bocca. Una domanda di tanto in tanto, un cenno del capo, un aggrottare della fronte.
Chris ammise che, in un primo momento, aveva considerato l'esorcismo sotto l'aspetto di shock-terapia. «Ma adesso non so più...» disse, tentennando il capo. Le dita punteggiate di lentiggini continuamente agitate, intrecciate in grembo. «Proprio non so...» Volse lo sguardo verso il gesuita, che taceva pensoso. «Lei, padre, cosa crede che sia?»
«Comportamento coatto originato da un senso di colpa, forse, e contemporaneamente scissione della personalità.»
«Per piacere, padre, di queste chiacchiere senza costrutto ne ho sentite fin troppe!... Come può affermare una cosa del genere, dopo quanto ha visto con i suoi occhi?»
«Lei farebbe altrettanto, se avesse visto tanti pazienti quanti ne ho visti io nelle cliniche psichiatriche. Ora mi stia a sentire: il fenomeno della possessione da parte di un demone, bene... ammettiamo che esista, che sia uno dei tanti fatti della vita... ma sua figlia non dice di essere un demone... No, Regan afferma di essere il diavolo in persona, il che la mette sullo stesso piano di chi dice di essere Napoleone Bonaparte! Capisce?»
«Allora mi spieghi i rumori e tutte le altre cose.»
«Io non ho sentito rumori.»
«Nella clinica Barringer sì, li hanno sentiti, padre. Perciò non è una cosa che succede soltanto qui, in questa casa.»
«Bene, può essere. Ma non è necessario ricorrere a un diavolo per spiegarli.»
«Avanti, allora. Spieghi.»
«Psicocinesi.»
«Cosa?»
«Lei avrà certamente sentito parlare di quei fenomeni che si verificano nelle case dove si dice che vi siano degli spiriti...»